Le letture di questa domenica, vedendole in un’ottica di contemporaneità per la nostra vita, ci pongono la domanda se ci sentiamo autorizzati oppure no a dire chi è un buon cristiano e/o chi non è un buon cristiano, in base anche a quello che noi pensiamo, avvalendoci di ciò che definiamo, riferendoci a Dio stesso, come tradizione,  voglia dire essere un buon cris Salva ed esci tiano.

Sono queste le critiche che fanno a Gesù scribi e farisei che vanno da lui. Come che Gesù dicesse: “Stiamo attenti a non andare a Messa per niente”, quando egli riprende il profeta Isaia che dice: “Invano mi rendono culto”. Questa espressione di Isaia – invano mi rendono culto – è come dire: “Sono andato a Messa per niente”. Rendere culto invano significa pensare di andare a dare a Dio quello che è di Dio ma, in realtà, non gli si sta dando niente di quello che gli spetta. Poi Gesù ancora insiste e spiega perché il culto può essere reso invano, spiega cioè come si fa ad andare a Messa per niente: “Insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. E insiste ancora citando il profeta Isaia: “Trascurando il comandamento di Dio voi osservate la tradizione degli uomini”. Ecco qui una parola importantissima: tradizione. Scribi e farisei vanno da Gesù per dirgli prima di tutto che lui in primis non è un buon cristiano, perché i suoi discepoli non rispettano le norme e i precetti della legge di Dio, in quanto non fanno i riti prescritti dalla legge prima di mangiare il cibo. Quindi Gesù non è un buon cristiano e non fa diventare buoni cristiani i suoi discepoli perché non rispettano la tradizione. Ma Gesù dice di fare attenzione perché non bisogna confondere la tradizione degli uomini e il comandamento di Dio. Il comandamento di Dio è la tradizione che viene dal Signore, la tradizione degli uomini può essere un grande bluff, un grande inganno.

Come quando noi pensassimo che la fede cristiana sia assimilabile, per esempio, a un compito in classe. Adesso che ricomincia la scuola abbiamo forse qualche timore se abbiamo fatto bene i compiti e se li abbiamo fatti tutti… la maestra cosa dirà?! Noi potremmo avere fatto i compiti dell’estate copiandoli da un nostro amico o amica, oppure possiamo prendere dieci in un compito in classe, ma abbiamo scopiazzato il compito sbirciando dal nostro compagno che non si è neanche accorto che glielo abbiamo copiato… perché è facile copiare quando qualcuno ti passa il compito; è più difficile copiare senza farti beccare né dal prof. e neppure da quello da cui stai copiando! Benissimo, prendiamo un bel dieci, oppure la maestra è contentissima dei nostri compiti delle vacanze: “Chissà quanto tempo hai lavorato! Avrai rinunciato a tre giorni alla settimana in piscina, e chissà a quanti chili di gelato!”. Quando noi pensiamo che il cristianesimo è riuscire ad avere formalmente, cioè esternamente, tutto a posto, in quel momento abbiamo creato la tradizione degli uomini, cioè ci siamo convinti che possiamo ingannare Dio, che possiamo fare vedere che siamo bravi facendo tutte le opere della legge, ma il nostro cuore è un cuore doppio, è un cuore che vuol fare senza Dio, che non gli vuole bene davvero. Ecco che cosa desidera il Signore, come abbiamo pregato anche all’inizio della Messa: che il nostro desiderio di amarlo sia vero, sia sincero e, per questo, si accresca sempre più.

La tradizione degli uomini crea questo meccanismo: dopo si incomincia a dire: “Adesso te lo dico io chi è un buon cristiano”. La tradizione degli uomini porta a dire che per essere dei bravi cristiani bisogna risultare apparentemente adempienti. “Oh, io ci vado a Messa, tutte le domeniche!”. Bisogna risultare di quelli che rispettano i comandamenti: “Oh, io le parolacce non le dico. Io le bugie… solo delle volte forse mi scappano…!”. Faccio l’elenco, controllo, come quando facciamo la spesa. I comandamenti di Dio sono l’elenco della spesa, come ci comportiamo noi è il carrello da caricare in macchina. Nel carrello c’è tutto quello che c’è nella lista e siamo perfetti. Sono un buon cristiano. Ma in realtà, dice Gesù, il nostro cuore così rimane pieno di cose sbagliate che noi facciamo finta di non vedere e copriamo perché gli altri non le vedano, nella misura in cui facciamo risultare che se c’è qualcosa che non va non è dentro di noi, ma è fuori di noi, cioè è negli altri: “Sono gli altri che non mi capiscono. Io vorrei che loro mi capissero, ma sono gli altri che non sono dei buoni cristiani; io sono un buon cristiano, ma gli altri non lo capiscono, e sono invidiosi, non mi salutano, non riusciamo ad andare d’accordo”. A quel punto lì noi ci arroghiamo il metro di giudizio di chi è o chi non è cristiano nella misura in cui noi abbiamo tolto a noi stessi la responsabilità di esserlo davvero. E Gesù lo sottolinea con molta forza. Dice che il formalismo, la tradizione degli uomini, usata per mettere le nostre idee al posto della volontà di Dio, è la sorgente di tutte le cose sbagliate che ci possono capitare, ed è un motivo sbagliato per pensare di comportarci correttamente. Mi dite voi se da una cosa sbagliata ne può venire fuori una buona? è impossibile. È proprio su questo punto cruciale che si gioca la nostra vita di cristiani. Noi non siamo cristiani perché possiamo dire: “Oh il compito è da dieci, tu maestra non mi hai visto quando io ho copiato, non se ne è accorto neppure il mio compagno di banco! Quindi voi ora dimostrate che ho copiato, e poi io dirò che mi sono sbagliato!”. Questo atteggiamento è quello della tradizione degli uomini, perché i farisei vanno da Gesù e non dicono: “Non mi sto rendendo conto che tu sei veramente Dio, e ti ucciderò pensando di rendere culto a Dio, perché ti accuso che tu sei un bestemmiatore, per il fatto che tu dici che quello che faccio io è sbagliato, mentre non ti accorgi che quello che fai fare tu ai tuoi discepoli è una cosa veramente sbagliata!”. Noi ci mettiamo al posto di Dio e giudichiamo, ci facciamo una fede frutto di tradizioni umane e, purtroppo, non amiamo Dio. Questo a volte succede anche all’interno della Chiesa. Facciamo un esempio. Nella Chiesa ci sono tanti ordini religiosi, per esempio ci sono i Francescani – e nei Francescani ci sono varie differenze, per esempio i Francescani Cappuccini, come padre Pio, o i Francescani Minori Conventuali come sant’Antonio di Padova – oppure ci sono i Domenicani – san Domenico – ma ci sono anche i Carmelitani, gli Agostiniani, i Vincenziani, i Redentoristi, i Salesiani, i Gesuiti, … pensate un po’ cosa succederebbe se, ad un certo punto, l’ordine dei Salesiani dicesse che l’unico modo per essere cristiani è essere salesiani! Se non sei salesiano non sei cristiano! A volte, per esempio, nella storia, Francescani o Domenicani sono stati erroneamente subordinati nella gestione della potestà ecclesiastica alle logiche del potere politico (così come è altrettanto erroneo l’essersi sentiti come potere spirituale autorizzati a misconoscere l’autonomia del potere temporale): “Tu sei francesano? Io, marchese, ti do tanti soldi, però tu, siccome quel conte è filoagostiniano, e io voglio dominarlo e prendergli il potere, mi devi fare in modo che gli Agostiniani chiudano tutti i conventi, se no io non ti do più i soldi!”. Purtroppo queste cose nella Chiesa sono capitate.

E a volte succede che noi si dica: “Per essere un buon cristiano devi essere così”. Questi atteggiamenti sono la distruzione della comunità: non c’è nessuno che può dire di avere il pedigree per fare il check-point della pratica di fede di un’altra persona. Non siamo in grado di guardare dentro noi stessi, come possiamo dire se uno è un buon cristiano o no?

Chiediamo al Signore che ci aiuti a sviluppare dentro al nostro cuore quella sapienza che ci fa trasformare il male che c’è dentro di noi, l’oscurità, nel suo contrario, questo lo possiamo fare. Saremo venuti a Messa rendendoci conto che è più quello che abbiamo ricevuto che quello che abbiamo dato a Dio nel momento in cui: le nostre impurità diventano trasparenza, sincerità; i nostri furti diventano generosità e condivisione nella logica della giustizia sociale; i nostri omicidi – ricordiamo che si può uccidere anche con la lingua – diventano generatività, capacità di dare la vita, di essere buoni samaritani del nostro prossimo; i nostri adulteri diventano una rinnovata fedeltà al Signore, nelle e tra le famiglie, tra le persone; le nostre avidità diventano capacità di elargizione, di generosità, di prossimità, di impresa sociale; la nostra malvagità diventa bontà; il nostro inganno diventa sincerità, trasparenza, affidabilità, semplicità di colombe ed evangelica astuzia – che le persone quando si fidano di noi possono fidarsi davvero che noi non ci mangiamo la parola, non facciamo i sotterfugi, non facciamo l’inganno, ti dico di sì poi ti dico di no (senza fartelo sapere), perché, sai, le alleanze politiche cambiano e nella vita il trasformismo deve essere una regola morale –; la nostra dissolutezza diventa risolutezza, capacità anziché di frantumazione, di distruzione, capacità di costruzione, di far prevalere ciò che unisce invece che ciò che divide, nella convivialità delle differenza; le nostre invidie diventano capacità di apprezzare i doni degli altri, di fare i complimenti quando uno se lo merita; le nostre calunnie diventano benevolenza, benedizione, diventano parlar bene, guardare il buono che c’è in ciascuno invece che sperare e adoperarsi, anche con l’omertà e la missione, per il peggioramento dei limiti, le fragilità e le vulnerabilità degli altri; la nostra superbia diventa umiltà; la nostra stoltezza diventa sapienza. Ce lo ha ricordato il Deuteronomio nella prima lettura: nel momento in cui noi siamo capaci di rendere culto a Dio perché siamo fedeli alla Tradizione della Chiesa, con la “T” maiuscola, allora le popolazioni diranno che questo popolo è l’unica nazione saggia e intelligente perché docile allo Spirito Santo e all’evangelica legge della libertà, piuttosto che ai suoi amor propri e ai suoi egoismi mascherati da (finto) amore.

22esima domenica del tempo ordinario, anno B