Sapienza della preghiera

Avete mai sentito parlare dell’Accademia della Crusca? Iniziamo subito col difficile, in particolare per chi oggi riprende il catechismo … Lo sapete cosa è la crusca? La crusca del frumento è la scorza del frumento, la buccia, la parte esterna del chicco di grano. L’Accademia della Crusca è il luogo dove si verifica bene la purezza dell’italiano. È come quella scorza che ci permette di conservare la farina vera e buona dell’italiano. Oggi vorrei con voi partire da una parola del Vangelo di questa domenica per riflettere in particolare anche sul significato della seconda lettura e sul valore del linguaggio, della parola, perché attraverso la parola noi trasmettiamo dei beni immateriali senza i quali i beni materiali ci fanno diventare dei cammelli che vogliono passare per la cruna dell’ago. Voi avete mai visto un ago? Siete mai stati punti da un ago? Cosa è la cruna? È quell’asola, cioè quel forellino in cui si infila il filo. Dentro quella cruna lì un cammello non ci passa.

Cosa vuol dire la parola sconcertati? Uno è sconcertato quando è andato a un concerto oppure non ci è andato? Sconvolti dice qualcuno. La differenza tra sconcertato e sconvolto, che sono sinonimi ma esprimono anche una sfumatura diversa è che quando uno è sconvolto è spaventato, ed è una emozione epidermica, cioè una emozione come quella di quando tocchi con un dito una pentola bollente e lo tiri via subito perché brucia. Sconcertato è uno sconvolgimento ancora più interiore, che apparentemente non si vede tanto ma interiormente ti fa male all’anima. Perché sono sconcertati gli apostoli? Sono sconcertati perché Gesù ha detto delle parole molto impegnative che ci fanno venire in mente un momento importantissimo del Vangelo di Luca.

Il Vangelo di Marco che stiamo leggendo in queste domeniche inizia quando Gesù è già grande e va in giro a predicare: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo”. Il Vangelo di Luca invece inizia con l’episodio dell’angelo Gabriele che annuncia a Maria la maternità di Dio. Maria rimase molto sorpresa perché non aveva ancora marito e chiese all’angelo come fosse possibile tutto questo. L’angelo disse alla Madonna la stessa cosa che oggi Gesù dice nel Vangelo a Pietro e agli Apostoli: “Nulla è impossibile a Dio”. Solo che l’angelo Gabriele lo dice alla Madonna relativamente a quella espressione che poi Gesù dirà di se stesso nel Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”; invece Gesù nel Vangelo di oggi lo dice su come si usano i soldi e le ricchezze.

Gesù dice circa così: “Se tu caro giovane – che se ne andò purtroppo via triste – decidi di dare tutti i tuoi soldi ai poveri avrai un tesoro in cielo”. Questo giovane ricco era andato da Gesù e gli aveva detto: “Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Vuole sapere qual è il segreto della felicità. Cosa vuol dire avere in eredità? Ereditare.  Gesù dice al giovane ricco che se vuole ereditare un tesoro nei cieli quello che ha lo deve dare ai poveri. Qui siamo in difficoltà, perché oggi tante persone pensano: “Sì, va bene la Parola di Dio, ma non si vive di Vangelo e non si mangia con le parole”. E quindi il Vangelo non vale più… non è così perché nella prima lettura noi ci siamo sentiti dire che insieme alla sapienza sono venuti tutti i beni: “Nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”. Quindi vuol dire che c’è una serie di beni materiali – pensiamo all’oro tenuto nella cassaforte – e ci sono dei beni immateriali che valgono più dell’oro anche se non li metti sulla bilancia, non li porti in banca e non ci fai l’assicurazione per la vita. Quelli sono dei beni immateriali. Il più grande bene immateriale di valore inestimabile che noi possiamo avere è la Parola di Dio e l’Eucaristia che stiamo celebrando. Ecco perché l’angelo Gabriele dice alla Madonna che nulla è impossibile a Dio e Gesù dice ai suoi apostoli, che sono sconcertati, che nulla è impossibile a Dio perché la Parola di Dio, che è Gesù Cristo che noi riceviamo nell’Eucarestia santissima è il bene immateriale più prezioso, ottenendo il quale noi riceviamo tutte le altre ricchezze, comprese le ricchezze materiali, a patto che le utilizziamo senza dimenticarci dei più bisognosi.

Ci sono tre modelli di santi che hanno vissuto da giovani questa pagina di Vangelo e non sono andati via tristi. Sant’Antonio Abate che è nella cappella laterale di questa Chiesa insieme ad altri due Antonio: Sant’Antonio di Padova e il Beato Antonio Rosmini. Sant’Antonio Abate aveva tantissimo denaro e poiché aveva una sorella – allora le femmine non avevano nulla in eredità – prima dà a lei un bel gruzzoletto e poi tutto il resto lo dà ai poveri; poi va a fare l’eremita e tutti gli volevano bene, compresi i coccodrilli. Un secondo modello di santo che ha fatto come dice Gesù nel Vangelo di questa domenica è Francesco d’Assisi. Un bel giorno fa proprio come dice la Parola di Dio: “Tutto è nudo”. In piazza ad Assisi – per fortuna c’era il vescovo che aveva un mantellone – si toglie pure il vestivo e dice al padre Pietro di Bernardone che gli dava indietro tutto e non voleva niente e va a vivere con i lebbrosi. Dunque questo è un secondo modello. Antonio Abate mette a posto le cose e poi dà via tutto, Francesco dà via tutto, non tiene proprio niente. C’è poi un terzo modello, quello del Beato Antonio Rosmini. Antonio Rosmini era ricchissimo perché i suoi genitori avevano in mano il commercio della seta di tutta Europa; la seta arrivata dalla Cina e circolava in Europa attraverso Rovereto di Trento; per questo i Rosmini avevano tantissimi soldi. Rosmini decise di fare il voto di povertà e quindi vivere poveramente, ma decise di tenere il denaro dentro l’Istituto religioso che aveva fondato, per gestirlo e usarlo solo per i poveri: li faccio fruttificare per averne di più e darne di più ai poveri. Questo è molto attuale per noi oggi. Perché noi guardiamo Antonio Abate e diciamo: “Come facciamo? Allora per diventare santi bisogna smettere di lavorare… per diventare cristiani non possiamo amministrare i soldi, però alla fine del mese come arriviamo? Stasera qualcosa bisogna mangiare!”. Antonio Rosmini ci mostra come si possono usare i beni che uno ha per aumentare il loro reddito e poterli dare ai bisognosi.

Ecco il segreto della praticabilità di questa pagina di Vangelo anche per noi oggi. Il Signore non ci dice che dobbiamo disprezzare in se stessi i soldi, ma dobbiamo stare attenti che i soldi non ci facciamo diventare dei cammelli perché la porta del Regno di Dio è stretta come la cruna di un ago. E quindi noi per non diventare cammelli abbiamo bisogno di riconoscere che non è una questione dei soldi in se stessi ma della mentalità con cui noi usiamo i soldi. La vera scelta di essere cristiani o di non essere cristiani passa per di qua: la mentalità con cui noi utilizziamo i soldi e i beni. Se noi pensiamo che dalla sapienza di Dio come bene immateriale, che è Gesù Cristo che riceviamo nella Comunione, possiamo ricavare tutti gli altri beni compresi i beni materiali oppure no. Questa è la mancanza di fede: se io mi fido di Dio e mi fido della ricerca della sapienza e quindi prego, dedico del tempo anziché ad accumulare dei soldini – prego un po’ di più e lavoro un po’ di meno, anche se, invece di 150 euro ne prendo, ad esempio, 120 e dopo non posso andare al cinema due volte in una sera e quindi aspetta che metto di pregare (faccio degli esempi banali ma la concretizzazione è questa), alla fine mi ritrovo triste perché la mia fame di amore e di gioia non è stata saziata da beni che non sono in grado di fare ciò. Guardiamo questo: se noi ci dedichiamo al Signore con la preghiera, con la vita interiore con il volerci bene tra di noi – lo abbiamo pregato nel salmo “saziaci con il tuo amore” – allora siamo veramente persone felici. A volte noi siamo sazi di tutto ma ci manca l’amore: solo l’affetto vero placa la sete e la fame di amore che c’è nel nostro cuore. Se noi diamo tempo a Dio, diamo tempo al Signore e diamo tempo alla sua Parola, la sua Parola è la ricchezza che ci fa stare veramente bene perché non ci toglie ciò di cui abbiamo bisogno, ma ci permette di guadagnare oltre all’immateriale che nutre il nostro cuore anche qualcosa di materiale con la quale possiamo aiutare quelli che stanno peggio di noi. È questa la mentalità: o tu dici che senza Dio mi arricchisco di più e sto meglio oppure tu dici che cercando Dio hai anche la sapienza, oltre che dei beni immateriali, pure dei beni materiali. È la preghiera di colletta che abbiamo fatto: “Possiamo diventare liberi e poveri per il tuo regno”. Questa povertà per il Regno di Dio è la vera ricchezza perché Gesù, lo dice la Sacra Scrittura, da ricco che era si fece povero per arricchirci con la sua povertà (2Cor 8,9). Vuol dire che la povertà di Gesù è l’unica vera ricchezza e la nostra ricchezza senza Gesù è una grande miseria. Per quanti soldi possiamo avere senza Gesù le nostre famiglie saranno litigiose, saremo cattivi, egoisti, avari, avidi, impauriti, sconcertati, delusi, arrabbiati. E invece Francesco d’Assisi, che non aveva niente ma aveva tutto, aveva la perfetta letizia, quella gioia che il Papa ci dice appartiene a quelli che vivono la Parola di Dio. Chiediamo al Signore allora, con l’aiuto dello Spirito Santo, di saperci impoverire delle nostre false ricchezze per arricchirci della povertà di Gesù, che è l’unico vero tesoro che ci dà la felicità del cuore, il centuplo quaggiù (senza dimenticare le persecuzioni …).

28esima domenica del Tempo ordinario