Fernando Bellelli, Etica originaria e assoluto affettivo. La coscienza e il superamento della modernità nella teologia filosofica di Antonio Rosmini, Prefazione di Pierangelo Sequeri e Postfazione di Nunzio Galantino, Collana “Ricerche filosofia”, ed. Vita e Pensiero, Milano 2014, pp. 377.

Il pensiero filosofico e teologico di Rosmini, che ha vissuto fasi alterne nella tradizione culturale dell’Occidente – dal sospetto e dalla condanna da parte della Chiesa alla sottovalutazione da parte della cultura laica, fino a una parziale (ma ancora limitata) riabilitazione a partire dalla seconda metà del secolo scorso – sembra aver trovato negli ultimi decenni una stagione di rinnovata attenzione. Si sono infatti moltiplicati, in questo periodo soprattutto in campo cattolico (forse anche a seguito della sua beatificazione) gli studi attorno ad alcuni aspetti della sua ricerca teoretica, la quale contiene (come viene sempre più emergendo) elementi di grande attualità.

Un significativo contributo a questo lavoro di analisi e di attualizzazione della proposta rosminiana è costituito dal presente robusto saggio di Fernando Bellelli, edito di recente nella prestigiosa collana “Ricerche filosofia” dell’editrice Vita e Pensiero di Milano, che propone una “nuova ermeneutica” della concezione filosofico-teologica del Roveretano, legata a quella che lo stesso Bellelli definisce come la “quarta fase” della ricerca. La questione di fondo, che è fatta oggetto di accurata indagine, è rappresentata dal rapporto tra filosofia e teologia o, più specificamente, tra l’apertura della coscienza alla trascendenza e l’accesso alla rivelazione. L’obiettivo perseguito dall’autore è quello di istituire un confronto tra la ricerca rosminiana e alcune istanze emergenti nell’attuale contesto postmoderno, fatte criticamente proprie, sul versante filosofico in particolare da Emanuel Lévinas, e su quello teologico da Pierangelo Sequeri e, più in generale, dalla Scuola della Facoltà teologica di Milano.

Il volume, che è suddiviso in due grandi parti, delinea nella prima la proposta antropologica di Rosmini nella sua originalità, mettendo in luce come l’elemento proprio dell’essere morale costituisca la “cifra” della sua riflessione sull’uomo. L’uomo è per lui il soggetto nel quale si attuano le tre forme dell’essere – essere reale, essere ideale ed essere morale – tra le quali il primato va ascritto all’essere morale. Partendo da questo assunto, Bellelli si sofferma anzitutto sul rapporto tra essere-morale e coscienza, mettendo in evidenza la circolarità tra loro esistente. La coscienza è infatti quella componente antropologica attraverso la quale l’uomo, tramite la riflessione su di sé, perviene alla consapevolezza sulla moralità delle proprie azioni mediante un giudizio speculativo relativo ad un giudizio pratico.

Ma la coscienza, nella sua struttura originaria e nella messa in atto del giudizio, non è riconducibile unicamente a un dato razionale e di volontà; in essa un ruolo determinante esercita l’affezione, che fa soprattutto di essa l’ambito entro il quale l’uomo percepisce l’elemento religioso come momento unificante dell’essere morale, e dunque come l’elemento che conferisce unità alla persona, aprendola alla trascendenza e consentendo il darsi della rivelazione. Si istituisce  così per Rosmini un nesso stretto tra rivelazione e coscienza morale; nesso che ha nell’ontologia dell’affezione il proprio fondamento assoluto. A rendere possibile questo nesso è il sentimento fondamentale, che sta alla radice della stessa affezione e che fa della coscienza il luogo dove si verifica l’incontro tra la libertà della persona e il donarsi della grazia. Si realizza in questo modo in Rosmini una profonda interazione tra filosofia e teologia; interazione che ha poi un ulteriore riscontro nel rapporto che il Roveretano evidenzia tra il sistema dell’essere uno e trino e il mistero trinitario in cui tale sistema confluisce.

Non è difficile, secondo Bellelli, trovare una conferma di questa impostazione (e un suo ulteriore approfondimento) nella “teoria della coscienza credente”, che Sequeri pone alla base della propria teologia fondamentale. Reagendo alla deriva razionalistica della modernità, che ha prodotto l’estrinsecismo della grazia da un lato, e l’immanentismo positivista dall’altro, il teologo milanese coglie infatti nella costituzione della coscienza, sia trascendentale che pratica, il legame fondamentale tra il logos e gli affetti, e dunque la struttura antropologica che dà ragione dell’affectus fidei come proprio della libertà finita e intenzionale all’apprendimento del vero e del bene. La struttura salvifica della fede teologale è in tal modo collocata dentro l’orizzonte epistemico della coscienza della verità – sta qui la convergenza più significativa con la dottrina rosminiana – determinando il superamento dell’estrinsecismo della fede e dando conto dell’esperienza del soggetto storico, che non può essere ridotto al soggetto trascendentale proprio della modernità.

Bellelli si inoltra successivamente – è questo il contenuto della seconda parte del volume – in un’analisi accurata del contributo che Rosmini può fornire alla cultura posmoderna, contrassegnata dalla crisi della metafisica classica e della ragione illuminista e tentata, al tempo stesso, di incorrere nel fideismo fondamentalista o, inversamente, nell’irrazionalismo nichilista. Essenziale diviene qui il ricorso alla svolta operata nei confronti della tradizione classica e moderna dalla filosofia di Emanuel Lévinas, il quale, collocando l’etica al di là dell’ontologia (anzi considerandola una nuova ontologia) mette in stretta connessione il desiderio e il bene, attribuendo al desiderio un effettivo carattere metafisico e fondando l’esigenza etica sull’esperienza dell’alterità, che rinvia, come a fondamento, al riconoscimento di un’alterità assoluta. Bellelli sottolinea la compatibilità di questa concezione con la dottrina dell’essere morale di Rosmini, che – come già si è visto – gode, a livello antropologico, del primato sulle altre forme di essere. Ma egli mette soprattutto in evidenza – in questo andando oltre Lévinas – come, considerando la coscienza quale forma originaria dell’essere morale e rilevando come in esso converga l’affettività, si giunga alla convinzione che l’originario affettivo è ontologico e l’ontologico è originariamente affettivo.

Il rimando, secondo Bellelli, è allora ancora una volta alla teologia fondamentale di Sequeri, il quale, partendo dalla constatazione che la modernità ha trascurato il soggetto concreto, insiste sull’importanza del desiderio e sulla necessità di ricuperare una fenomenologia dell’affectus e una metafisica della coscienza nella quale si dia la convergenza tra ratio e fides, facendo interagire l’affettivo e il simbolico con gli altri fattori costitutivi dell’umano. In questa prospettiva il sensibile diventa l’ambito da cui la teologia deve ripartire, rintracciando nell’estetica l’elemento di connessione tra le discipline filosofiche e quelle teologiche. Verità razionale e verità salvifica sono infatti nel kerygma cristiano realtà che devono mutuamente integrarsi in una prospettiva unitaria.

A creare le basi della possibilità di questa integrazione – è questo l’assunto di Bellelli – concorre in misura decisiva l’etica dell’incontrovertibile, che ha nella percezione dell’alterità – ritorna qui il pensiero di Lévinas – la propria specificità. La fede cristiana affonda in questo humus le proprie radici: il rapporto con Dio è infatti concepito in essa nella forma della charitas-agape, che è la realizzazione più alta della relazionalità. La riflessione di Rosmini è pienamente riconducibile a questa visione: l’essere morale, che è la componente ontologica dell’antropologia, rinvia, a livello filosofico, al pulchrum, che ha una chiara dimensione metafisica e religiosa e apre al trascendentale assoluto della charitas-agape, che definisce, a livello teologico, la natura del Dio-Trinità.

L’approccio ermeneutico di Bellelli alle opere di Rosmini – in particolare al Trattato sulla coscienza,alla Teosofia e all’Antropologia soprannaturale – ha dunque, in definitiva, lo scopo di interpretare l’intenzionalità del suo pensiero, traducendolo nel codice della postmodernità. Si rende così evidente l’originalità e l’attualità di una riflessione che, prendendo sul serio la soggettività nella sua eccedenza rispetto a qualsiasi ordine oggettivo e, nel contempo, in quanto orientata, grazie all’apertura della coscienza, alla trascendenza, sollecita il pensiero postmoderno a riacquisire la fiducia in una capacità razionale, che ha nell’essere morale e nella cifra dell’affezione una portata ontologica.

L’attenzione privilegiata alla coscienza, e alla coscienza credente, e il passaggio attraverso Lévinas e la sua provocazione aprono inoltre la strada alla ricerca teologica, specificamente a quella dell’odierna teologia fondamentale – come è testimoniato dal costante riferimento di Bellelli alla proposta di Sequeri – offrendo un apporto decisivo all’approfondimento delle strutture antropologiche della fede. Attraverso questa via viene allora, da un lato, fornito al pensiero teologico contemporaneo una base fondativa arricchente; e vengono proposti, dall’altro, stimoli fecondi alla riflessione culturale contemporanea. La novità di Rosmini rispetto al proprio tempo (e non solo) sta infatti nel superamento del modello teologico del duplex ordo e del razionalismo teologico mediante l’instaurarsi una fusione di orizzonti tra filosofia e teologia, che consente il superamento tanto dell’estrinsecismo quanto di una totale identificazione.

L’essere morale come dato originario e l’ontologia dell’affezione, che determina le condizioni fenomenologico-trascendentali per pensare Dio, fanno sì che l’accesso alla rivelazione non venga concepito come estraneo alla realtà della coscienza, ma venga pienamente integrato in essa. L’esperienza della grazia sperimentata dalla coscienza è perfettamente sintonizzata con questo processo: l’originaria struttura affettiva di quest’ultima si apre, in modo connaturale, all’esperienza simbolico-sacramentale della chiaritas-agape, che è la trascrizione teologicamente più fedele dell’evento cristiano.

Il sistema aperto di Rosmini, ripensato alla luce dell’apporto della ricerca fenomenologico-personalista odierna, non può, in definitiva. che condurre all’elaborazione di una “teologia filosofica”, destinata a superare gli schemi della classicità senza incorrere nei rischi del soggettivismo e del relativismo. Si tratta, perciò, di un contributo innovativo che fa del filosofo e teologo roveretano un anticipatore della svolta antropologica del Vaticano II, la quale, superando l’apologetica allora dominante, ha dato il via all’elaborazione di una forma di ragione teologica che offre un servizio all’intelligenza della fede nel pieno rispetto della dimensione misterica che le è connaturale.

È merito di quest’opera di Bellelli l’aver fornito una originale chiave interpretativa del contributo di un pensatore di grande rigore quale è Rosmini, la cui importanza è a tutt’oggi sottovalutata e che può, invece, costituire – come già si è ricordato – un utile riferimento per lo sviluppo di un dialogo costruttivo tra cristianesimo e cultura odierna. Si sarebbe (forse) potuto auspicare un’esposizione più lineare  e l’uso di un linguaggio meno criptico, nonché un periodare più snello. Ma sono appunti del tutto secondari, che nulla tolgono al valore di un saggio, che costituisce un essenziale apporto non solo all’interpretazione del pensiero di Rosmini, ma, più in generale, alla ricerca filosofico-teologica contemporanea.

Recensione apparsa in «Rassegna di Teologia» 4 (2015), pp. 684-688, di Giannino Piana