Fernando Bellelli, Etica originaria e assoluto affettivo. La coscienza e il superamento della modernità nella teologia filosofica di Antonio Rosmini (Ricerche Filosofia), Vita e Pensiero, Milano 2014. Un volume di pp. XXIV-377.

Il lavoro di Bellelli è coraggioso già nel suo impianto generale, vuole infatti confrontare e collegare in maniera non estrinseca due orizzonti teorici che appaiono – in prima battuta – alquanto distanti ed eterogenei: la riflessione di Rosmini e la postmodernità (via Levinas). Le istanze della postmodernità (e della modernità) vengono assunte dall’Autore secondo l’originale rilettura offerta dal teologo di scuola “milanese” Pierangelo Sequeri con la sua teoria della coscienza credente. La ricerca, frutto di un lavoro dottorale che ha come relatore lo stesso Sequeri, chiede dunque di essere apprezzata su un duplice versante.

Sul primo polo si colloca l’ermeneutica del pensiero rosminiano. Bellelli offre una ricostruzione di tale pensiero imperniata sul tema della «coscienza morale», riletto alla luce del nesso fra «sentimento fondamentale» e affezione: «il nesso tra il sentimento fondamentale e l’affezione, potremmo dire che è questa l’operazione ermeneutica che intendiamo compiere» (81). È un’operazione che appare feconda: «i guadagni sono molteplici: innanzitutto il primo guadagno è certamente la elaborazione di una riflessione originale sulla soggettività» (221).

Abbiamo così già introdotto la tematica dell’affezione, focus della sezione dedicata a Rosmini come dell’intera ricerca. «Rielaborare la riflessione teologica e filosofica a partire dalla consapevolezza che è necessario concentrare l’attenzione sull’elemento dell’affezione come tematica lungamente trascurata dalla storia del pensiero occidentale» (110): questa è l’intenzione che anima l’insieme dell’indagine di Bellelli. Riferita specificamente a Rosmini, questa intenzione genera una lettura nuova del Roveretano, capace di valorizzare e collocare al centro alcuni aspetti del suo sistema che sembrerebbero – a prima vista – solo «elementi di contorno» (233). «Rosmini esprime l’idea che l’originario affettivo è ontologico e l’ontologico è originariamente affettivo con la terza forma dell’essere: l’essere morale. In questo – specifica Bellelli – risiede l’originalità del nostro approccio, che ci porta a riscoprire un Rosmini totalmente inedito» (297). Ponendo un legame originario e radicale tra essere e affezione, «Rosmini ha introdotto il principio della svolta che noi ricerchiamo» (319), quella «svolta affettiva» che – come specificheremo tra poco – dovrebbe determinare una nuova metafisica ma anche una nuova teologia. Una valutazione adeguata di Etica originaria e assoluto affettivo su questo primo versante – da noi solo rapidamente evocato – richiede una conoscenza specialistica della vasta produzione rosminiana. Secondo Sequeri – che introduce il testo (XIXV) – l’approccio risulta efficace e consente di portare alla luce «vere e proprie perle rosminiane»: «davvero, un campo pur mille volte percorso e persino dissodato, può rivelare tesori che erano totalmente sfuggiti ad uno sguardo meticoloso, eppure di routine» (XIII). Quel che è certo è che Bellelli arriva a proporre la sua interpretazione sulla scorta di diversi lavori già dedicati a Rosmini e pienamente inseriti nella fase più recente della ricerca che lo riguarda: quella che, al di là di riduttivi intenti apologetici o polemici, vuole riscoprire la peculiarità dell’opera rosminiana in dialogo con la cultura moderna e postmoderna.

Per quanto concerne il secondo versante dell’indagine, abbiamo richiamato l’esplicito riferimento alla teoria della coscienza credente. Essa va ormai considerata come un vero e proprio “progetto di ricerca”, che si colloca tra quelli di maggior rilievo, oggi, per la teologia italiana (e non solo). Questa teoria è già stata ripresa e verificata, criticata e arricchita in molti contributi; in particolare, in diversi lavori dottorali. Insieme al testo chiave di Sequeri (Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 20084, prima ed.: 1996), possiamo dunque ricordare, come percorsi che si inscrivono esplicitamente nella “cornice” della «coscienza credente»: R. Maiolini, Tra fiducia esistenziale e fede in Dio. L’originaria struttura affettivo-simbolica della coscienza credente, Glossa, Milano 2005; M. Hodžić, La genesi della fede. La formazione della coscienza credente tra essere riconosciuto ed essere riconoscente, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2009; F. Ceragioli, «Il cielo aperto» (Gv 1,51). Analitica del riconoscimento e struttura della fede nell’intreccio di desiderio e dono, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2012; D. Balocco, Dal cristocentrismo al cristomorfismo. In dialogo con David Tracy, Glossa, Milano 2012 (pp. 329-373). A questi si aggiunge ora, con un suo apporto proprio, il lavoro di Bellelli.

In questa sede non è possibile richiamare, neppure per sommi capi, il profilo complessivo della teoria della coscienza credente. Ci limitiamo a ricordare che essa muove dall’intenzione di superare in maniera radicale la separazione e l’alternativa moderna di fede e ragione, recuperando così l’unità del soggetto al di là della riduzione operata dall’antropologia delle facoltà. «L’esito a cui si arriva con il razionalismo teologico moderno è un esito in cui l’antropologia delle facoltà impedisce di raggiungere l’identità del soggetto» (63). Per ritrovare tale fondamentale identità, è necessario reintegrare nell’originario l’etico e l’affettivo, riscoprire cioè l’originaria unità − nel punto sorgivo dell’io − di intelletto, volontà e affectus. Il volume di Bellelli è generoso di indicazioni per camminare in questa direzione.

Come già detto, il suo contributo peculiare deve essere ricercato soprattutto in riferimento all’elemento dell’affezione. Etica originaria e assoluto affettivo è un volume coraggioso anche per questa scelta di campo, che concentra il lavoro su uno degli aspetti più magmatici ma anche più promettenti della teoria di riferimento. A suo riguardo, Bellelli offre un ventaglio di considerazioni e annotazioni che indicano, in maniera più o meno articolata, punti di approfondimento e avanzamento diversi. Richiamiamo solo due sottolineature, tra quelle di maggior rilievo.

La prima riguarda la decisiva rivendicazione del significato fondativo e metafisico dell’affezione. Siamo così posti di fronte a un plesso di interrogativi essenziali, che con Sequeri possiamo sintetizzare ed esemplificare così: «(a) si può istruire una metafisica dell’affezione, fino a individuarla come struttura ultima del reale?

(b) l’affezione può essere pensata come figura radicale del fondamento assoluto? (c) è argomentabile una logica peculiare dell’affezione, che non coincide sotto ogni aspetto con il principio di non-contraddizione e di causalità?» (35). Per Bellelli bisogna ormai collocarsi a questo livello, poiché «è necessario far emergere anche la componente metafisica della coscienza credente» (314 nota 77). La teoria della coscienza credente è stata fin qui elaborata sul lato antropologico, come paradigma epistemologico (descrizione di un accesso al sapere alternativo a quello razionalistico moderno) o propriamente antropologico (principio sintetico dell’umano), ma rimane da fare ancora un passo decisivo verso l’ontologia. «Allo stato attuale della ricerca sia nel lessico scientifico sia nel lessico corrente non abbiamo questa ontologia: abbiamo una psicologia dell’affezione o una ontologia del bene, nel momento storico del presente cristianesimo, ma non un’ontologia dell’affezione, e questo costituisce un vuoto importante per la teologia» (196). Proprio l’ontologia dell’affezione potrebbe essere «la metafisica cristiana che manca alla teologia della postmodernità» (196). Perché una metafisica ci manca. Abbiamo infatti una teologia sempre più consapevolmente centrata sulla differenza cristiana di un Dio che è Agape, ma una filosofia molto al di qua di quanto questa teologia chiede. La metafisica dell’affezione, quale compimento della «svolta affettiva» della metafisica, potrebbe offrire il quadro più adeguato per l’elaborazione di questa filosofia agapica. La seconda annotazione riguarda la lettura dell’affezione come proaffezione. Tra le molte descrizioni del panorama culturale attuale c’è quella che, constatato il massiccio ritorno della questione degli affetti, lo vede determinato dal passaggio dal cogito razionalistico al cogito emozionale. La determinazione rimane però troppo vaga e rischia di segnalare un superamento del moderno solo apparente. Si rivaluta certo il registro dell’affezione, ma la sua dinamica rimane quella autoriferita della modernità. La lettura dell’affectus come proaffezione apre invece ad un effettivo superamento del cogito moderno. L’essere non è anaffettivo (come vorrebbe il razionalismo) né auto-affettivo (come vorrebbe il soggetto moderno autoreferenziale) ma pro-affettivo. Pensare questa struttura dell’essere, elaborare una metafisica della pro-affezione, è – secondo Bellelli – un compito imprescindibile e urgente per una filosofia/teologia futura all’altezza dell’epoca. Etica originaria e assoluto affettivo mette in luce le ragioni del rilievo di tale compito e suggerisce percorsi per il suo svolgimento, percorsi che meritano attenzione e una considerazione – anche critica − puntuale e serrata.

Recensione apparsa in «Philosophical news» 10 (2015), pp. 112-114, di Ezio Prato, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale

https://www.philosophicalnews.com/old-series-issues/n-10-june-2015/