La liturgia della parola di questa domenica ci presenta la missione della Chiesa.

Gesù, dopo la sua Risurrezione e nella Pentecoste, prima dell’invio degli Apostoli e di tutta la Chiesa per annunciare il Vangelo a tutte le genti, predicando che il regno di Dio è vicino e guarendo ogni sorta di malattia e di infermità, fa le prove generali e dice agli apostoli: “Andate a due a due e fate quello che faccio io”. Ci fa subito riecheggiare nel Vangelo di Giovanni quando Gesù dice che un discepolo non sarà mai più grande del suo maestro ma tutto al più sarà come il suo maestro, e anche l’altro passo dove Gesù dice che chi verrà dopo di lui farà delle cose ancora più grandi. Come se noi potessimo pensare di essere superiori a Dio, maggiori di Dio. Non è certamente così, non è in questo senso che il Signore fa questo invio. È ben cosciente che nell’orto degli ulivi resteranno, addormentati, solo tre dei dodici apostoli e sotto la croce, con Maria sua madre, ce ne sarà soltanto uno.

Perché allora Gesù manda i Dodici? Perché possano a loro volta fare esperienza della verità di quello che hanno vissuto. La verità della fede non è qualcosa che possiamo dire di avere capito fino in fondo se non quando la sperimentiamo; ciò non soltanto perché abbiamo capito – per esempio quello che ci dice la seconda lettura, passo stupendo che fa la sintesi della storia della salvezza in tutta la sua pienezza e su cui tenteremo di balbettare qualcosa – è facendo la verità che si conosce la verità. Prendiamo spunto dalla orazione di colletta che abbiamo pregato insieme: “respingere ciò che è contrario al nome dei cristiani che si professano tali e seguire ciò che gli è conforme”.

La prima lettura ci ha aiutato a vedere che non è che davanti a Dio possiamo accampare delle giustificazioni per cui ci possiamo esimere dall’essere profeti, perché il profeta Amos dice: “Non me lo ha mica detto il dottore, di fare il profeta, non l’ho mica voluto fare io, non mi sono mica impuntato a tutti i costi e a quel punto lì me ne capitano di cotte e di crude, ma sono stato io a cercarmela quindi…”. Amos dice che faceva il pastore e coltivatore di sicomori: “Avevo la mia professione, la mia vita, ero tranquillo, stavo bene, non mi sono andato io ad impelagare in questa faccenda di seguire il Signore ed essere un profeta”. Amos non dice queste cose per autorizzarsi a disimpegnarsi. Amos sta dicendo: “Siccome sono stato conquistato da Cristo – prendendo a prestito un’espressione dell’apostolo Paolo – cioè ho veramente percepito, mi sono realmente convinto, dentro di me ho fatto l’esperienza, ho la certezza che Gesù Cristo è l’unico salvatore del mondo, allora non posso fare a meno di annunciarlo con la vita”. Come quando abbiamo una bella notizia, ci capita qualcosa di bello e vogliamo farlo sapere a tutti.

Allora cosa vuol dire: “Respingere ciò che è contrario al nome dei cristiani e seguire ciò che gli è conforme?”. Potremmo dire: qual è il modo per essere profeti oggi? Che cosa implica la testimonianza cristiana oggi? Quali sono le malattie da curare? Come fanno gli apostoli chein un certo senso  cominciano già a fare l’esperienza dell’unzione degli infermi che poi nel corso dei secoli abbiamo un po’ ridotto al fatto di essere un viatico per l’immortalità, dono inestimabile certamente di non poco conto, che viene dato con il sacramento dell’unzione degli infermi, Gesù lo ha istituito anche come sacramento della consolazione e del conforto.

Qual è la profezia oggi, che cosa vuol dire essere testimoni della fede? Oggi siamo di fronte ad una sfida molto importante. Ogni epoca e momento storico ha le sue sfide. Noi siamo di fronte alla sfida, alla testimonianza, alla profezia del nuovo umanesimo. Di far comprendere, cioè, che la grazia di Cristo – quello di cui ci ha parlato l’Apostolo Paolo nella seconda lettura cioè quello che alle volte noi sentiamo parlare essere il soprannaturale, l’opera dello Spirito Santo – la grazia di Cristo è ciò che rende l’uomo pienamente uomo, veramente uomo. È questa la profezia che il Signore ci affida, cioè di testimoniare che la fede ci aiuta ad essere veramente persone umane. Ed essere persone umane significa rispettare l’anima e il corpo.

Voi direte come siamo astratti… possiamo fare esempi concreti. L’umanesimo ci dice che l’essere umano è tale dal concepimento alla sua morte, che dunque il concepimento è un atto d’amore fra un uomo e una donna e non può essere surrogato con l’ingegneria genetica o con la presunta possibilità di modificare il concetto di famiglia. Il nuovo umanesimo ci dice che la vita umana è tale per cui non possiamo disporne sia all’inizio che alla fine, e ce ne dobbiamo prendere cura in ogni sua stagione. Quindi non è che per risparmiare sull’assistenza agli anziani siamo autorizzati ad andare avanti con l’eutanasia. Voi mi direte che l’eutanasia non è l’accanimento terapeutico. Siamo d’accordo, ma cosa significa nel caso concreto è molto difficile determinarlo. La profezia della nostra fede consiste nel far percepire alla persone che queste verità non sono una prigionia, ma tutto il contrario. Proprio perché la fede è la mia scelta di vita, la fede cristiana della Chiesa cattolica, mi rendo conto che quando ricevo queste indicazioni non è per ridimensionare la felicità, per ridurre il valore del bene, ma è per riuscire a comprenderlo meglio, a rispettarlo di più e a onorarlo come si deve.

Sull’idea siamo tutti d’accordo ma è più difficile far percepire, forse prima di tutto a noi stessi poi anche agli altri, che fare così è la strada della felicità, non è la strada della limitazione della felicità, della violazione della libertà e dei diritti della persona, ma è servire la felicità della persona e servire la libertà dell’essere umano. Possiamo dire che oggi la profezia della fede si basa davvero sulla capacità di esprimere in modo nuovo quella che viene chiamata Dottrina sociale della Chiesa. Essa ha cinque principi:

1) il primato della persona umana. La persona umana è un bene indisponibile che viene prima di qualsiasi altra realtà; ovviamente dopo Dio che l’ha creata, dopo la Trinità nella quale – come dice l’apostolo Paolo – noi siamo prima pensati e poi creati e poi predestinati ad essere figli adottivi. La persona umana non può essere subordinata a niente: né al denaro, né al potere, né alla comunità. Non è la comunità prima della persona ma è la persona prima della comunità e mai senza di lei;

2) la sussidiarietà. La Chiesa ci ricorda che la vita sociale è frutto di persone che si amano veramente e quindi si aiutano per corrispondere al progetto di Dio sull’umanità. Cioè è un rimboccarci le maniche non in modo egoistico ma per aiutarci gli uni gli altri;

3) la solidarietà. Occorre che ci siano delle istituzioni nella Chiesa e nella società che aiutano chi fa più fatica, ma non per creare dell’assistenzialismo o per creare delle sacche di povertà che vengono monitorate prima che degenerino troppo e così chi è più capace si avvantaggia e chi è meno capace rimane indietro e resti pure dove è;

4) la destinazione universale dei beni-bene comune. È molto legato al primo. I beni sono per tutti. Questo non vuol dire essere contro la proprietà privata, che è, in particolare, un aspetto del primo e secondo principio, ma la proprietà privata non può mai pensarsi come staccata dal resto del mondo e dell’umanità. Si vede bene ora nell’epoca della globalizzazione. Se noi inquiniamo qui ci sono effetti altrove e viceversa. I beni universali vanno tutelati da tutti per il bene di ciascuno;

5) l’opzione preferenziale per gli ultimi. Lo dicono gli Atti degli Apostoli: nessuno tra di loro era bisognoso perché chi aveva possibilità sosteneva gli altri.

Questi cinque principi sono tratti dal Magistero della Chiesa, che io vi riporto. Di questi principi non possiamo sforbiciarne alcuni… vanno presi tutti insieme.

La profezia di oggi consiste proprio in questo: la mia responsabilità di battezzato non la delego a nessuno, neanche al papa, ai cardinali, ai vescovi, ai preti…  io la mia responsabilità di battezzato la vivo fino in fondo. Ecco il senso dell’esortazione del Papa, la Gaudete et exsultate, sulla santità di tutti i cristiani. Ciascuno di noi ha la responsabilità come cristiano di vivere la profezia del bene della persona umana, del bene della sussidiarietà, della solidarietà, della destinazione dei beni universale e dell’opzione degli ultimi proprio perché saranno i primi e se noi stiamo dalla loro parte saremo primi anche noi.

Chiediamo al Signore proprio che ci aiuti ad accogliere la sua parola, l’insegnamento della Chiesa, per essere testimoni come gli apostoli, profeti come Amos, responsabili del nostro battesimo nella vita familiare e sociale. Sappiamo che oggi c’è la difficoltà di guidare le città, il vivere comune, quindi anche la responsabilità nella vita pubblica; oggi come cristiani siamo responsabili e ciascuno si può collocare come vuole, ma le implicazioni della nostra spiritualità di cristiani ci devono portare ad essere responsabili di quello che ci capita intorno e ad essere in grado di mettere insieme i diversi punti di vista.

Ci sono tanti modo diversi di vivere la fede, l’importante è che non diventino motivo di fare la guerra. Se io voglio applicare i cinque principi della Dottrina sociale della Chiesa in un modo, che è corretto, e un altro li vuole applicare in un altro modo che è pure corretto, non avremo mai motivo di litigare, a meno che non usiamo la fede strumentalizzandola per motivi di prestigio personale, a meno che non vogliamo piegare la fede ai nostri scopi utilitaristici o alle nostre smanie di carriera, cedendo in tal modo alla mondanità spirituale. Questa è una maturità importante che alle volte si è poco condivisa perché c’erano delle logiche che, per i più diversi motivi, si volevano conservare. Oggi queste logiche sono saltate e, dal punto di vista della Parola di Dio di questa domencia, è una cosa bella perché così ognuno può essere responsabile della propria fede.

15esima domenica del tempo ordinario, anno B