Entrando subito in medias res nel filo rosso che può connettere le varie letture di questa domenica, guardiamo una parola che è nella seconda lettura, la parola “arrendevolezza”, parola difficile, anche solo a pronunciarla è un po’ lunga. Cosa vuol dire? Uno che si arrende? Allora possiamo dire che l’arrendevolezza è sempre darla vinta agli altri. Quando c’è una battaglia, oppure avete mai visto la box – anche Paolo usa questa immagine nelle sue lettere – quando l’allenatore vede che il suo allenato sta per stramazzare al suolo getta la spugna. Ma l’arrendevolezza di cui parla l’apostolo Giacomo significa darla sempre vinta agli altri? A voi piacerebbe avere in squadra uno che fa così? Io credo che a nessuno di noi piacerebbe avere in squadra uno arrendevole in quel senso lì. Ma non è l’unico senso di questa parola, infatti l’apostolo Giacomo la usa in un altro senso.

Qualcuno si ricorda la fine della preghiera che abbiamo fatto? “Grande è colui che serve”. In quel caso lì anche sono possibili due significati del servire. Quando qualcuno ti dice: “Vieni qua che ho bisogno! Mi serve quella cosa lì: vai a prendere l’acqua in cantina, vai a pulire le docce, vai a fare una cosa che nessuno vuole fare”. Quello lì è un servire utilitaristico. Cosa vuol dire? Quando io voglio bene ad un’altra persona non perché è lui ma perché poi quella persona mi può fare quel piacere, mi può dare quell’aiuto; io non voglio bene alla persona ma a quello che quella persona mi può dare, mi servo della persona per i miei interessi. Non è questo il senso del servire di cui parla Gesù nel Vangelo.

Adesso faccio un’altra domanda – faccio tante domande e non do le risposte, questo in ogni caso è anche il senso della meditazione rabbinica della Sacra Scrittura –: avete mai sentito parlare del complesso musicale degli U2? Questa settimana non hanno fatto concerti particolari, sono andati dal Papa – parlo degli U2 perché sono andati dal Papa, non sto a fare un commento sulle loro canzoni, One o Suanday bloody Sunday – e il cantante degli U2 ha detto che è rimasto molto colpito perché ha visto il viso del Papa pieno di dolore, un dolore atroce. Il Papa sta soffrendo tantissimo per una cosa di cui parla il Vangelo di questa domenica, ecco perché vi ho chiamato in causa gli U2. Il Papa è triste per il fatto che non si trattano bene i bambini nella Chiesa, ha un dolore, sta malissimo, secondo me non dorme di notte. Sapete quello che purtroppo succede, non si può non parlarne: o noi non parliamo del Vangelo di questa domenica, oppure se parliamo del Vangelo di questa domenica dobbiamo prendere in considerazione il fatto che purtroppo, alle volte, i bambini non sono accolti nella Chiesa, non sono ascoltati, non si vuole loro bene, e questo è tristissimo. Al punto che avete sentito c’è stato un cardiale cappuccino, O’ Malley, – è un farte cappuccino, dei Cappuccini ve ne ho parlato qualche tempo fa – se non si risolve questo problema la pastorale, cioè le attività che la Chiesa fa, rischia di essere compromessa, cioè perde di credibilità. In questa omelia inizio anche a spulciare ciò che nelle altre omelie vi ho precedentemente detto, così andiamo avanti con il percorso che cerchiamo di fare insieme

C’è un’altra parola nella prima lettura: “educazione”. Che cosa succede nella prima lettura? Sapete che tra un po’ diremo anche nella liturgia nel Padre nostro invece che “non ci indurre in tentazione” diremo “non ci abbandonare alla tentazione”. In questa lettura, proviamo ad ambientare, ci sono alcuni che dicono: “Voglio vedere se Gesù è davvero capace di fare quello che dice. Gesù dice che il soccorso di Dio non gli mancherà, che Dio lo farà risorgere, allora sai cosa facciamo noi? Lo ammazziamo, lo mettiamo in croce. E perché lo mettiamo in croce – dicono quelli della prima lettura – perché ci rimprovera il fatto che noi non ci comportiamo secondo l’educazione che abbiamo ricevuto”. Questa è la differenza tra Dio Padre che accetta che il proprio figlio testimoni l’amore della Trinità fino alla fine, ma non lo spinge all’annientamento per se stesso, e gli iniqui della prima lettura che apparentemente cercano la giustizia ma in realtà perseguono l’iniquità. Alla fine di luglio, alla festa di san Luigi, cosa abbiamo detto? Che c’è bisogno di una svolta affettiva nella pastorale della Chiesa. La nostra fede ci rende capaci di amare davvero e di non separare le idee dai comportamenti; perché quello che capita purtroppo oggi è che nella Chiesa quando i bambini non vengono rispettati, sulle idee siamo tutti d’accordo ma sui comportamenti qualcuno fa molta fatica. Allora bisogna che noi passiamo da un modo di vivere la fede come qualcosa che prima lo pensiamo e poi lo viviamo, prima, il nostro essere cristiani, lo facciamo nel concetto della mente e poi lo mettiamo in pratica, a un modo di vivere la fede tale per cui la riflessione successiva all’ispirazione dello Spirito Santo concretamente sperimentabile a partire dalle nostre opere. Vi ricordate come finiva la preghiera dopo la comunione della messa di domenica scorsa: “perché non prevalga in noi il nostro sentimento ma l’azione dello Spirito Santo” – qualcuno farà la cresima sabato prossimo, 6 ottobre? Ecco, benissimo – cosa succede quando noi facciamo la Cresima? Riceviamo lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo chi è? Lo Spirito Santo è l’amore di Dio. Cosa fa l’amore di Dio? Ci aiuta a fare in modo che i nostri sentimenti, che a volte sono sbagliati, quando sono tali non prevalgano, ma prevalgano i sentimenti buoni. Vuol dire che abbiamo molto bisogno dello Spirito Santo per una educazione che non sia solo nella testa, ma che sia nel cuore e che sia nelle nostre opere.

Andiamo avanti ancora un po’. Allora che cosa vuol dire essere arrendevoli? Se no facciamo delle analisi filologiche e lessicali ma non stringiamo la questione. C’è una esortazione del Papa Francesco che sia chiama Evangelii Gaudium, che dice, tra le varie cose, che il cristiano è capace di vedere che la parte è inferiore al tutto, e che il tutto è superiore alla parte. Allora c’è un altro significato di essere arrendevoli, cioè il significato che quando una persona sa portare pazienza di fronte a qualcuno che dice che il suo modo di vedere, il suo punto di vista, la sua parte è tutto, quando c’è uno che fa così – per esempio uno potrebbe dire nell’unità pastorale c’è solo Guiglia, Rocchetta non esiste, uno pensa che la parte sia superiore al tutto – allora uno è arrendevole quando è capace, come dice l’apostolo Paolo nella Prima lettera ai Corinzi 13, nel momento in cui affronta il tema della carità che è l’opera dello Spirito Santo, di sopportare, cioè di portare pazienza che qualcuno che non ha ancora capito che il suo modo di vedere è ancora una parte e non il tutto, si renda conto della differenza tra il tutto e la parte. Ecco cosa è l’arrendevolezza, è positiva, cioè è la capacità di comunione, di costruire, di lavorare insieme, è la capacità di servizio, cioè di non pensare che le cose vanno fatte perché noi siamo i più belli e più bravi e dopo ci dicono che meritiamo una promozione e ci danno un posto di carriera. È proprio quello che stavano facendo gli apostoli mentre Gesù dice che sta andando a Gerusalemme dove lo metteranno in croce: “Io, che sono il numero uno, sono io che mi sono andato a metter all’ultimo posto”. E invece loro dicevano: “Chi è tra noi il migliore, il più bravo, chi è che deve comandare sugli altri, chi è che deve avere il potere di schiacciare gli altri e tutti gli altri devono essere arrendevoli (in senso contrario a quello che ho appena cercato di spiegarvi) di fronte alla prepotenza di chi fa il più spavaldo”. Ecco cosa è il servizio, l’arrendevolezza, la capacità di volere bene (questa è la risposta della fede alla critica che Nietzsche fa al cristianesimo accusandola di essere religione che fa della pusillanimità una virtù). La capacità di volere bene sta proprio nel fatto che noi sappiamo rimanere dei bambini. Attenzione, qui facciamo l’ultima distinzione e chiudiamo. Qualche d’uno a volte dice: “I bambini non conoscono il male, non sono birichini”. Come non sono birichini? C’è a volte l’idea della mitizzazione dell’infanzia come uno stato di perfezione intrinseca. Non è questo di cui parla Gesù nel Vangelo – la mitizzazione dell’infanzia – ma, come dice la preghiera che abbiamo fatto all’inizio, l’infanzia è la misura del regno di Dio. C’è un salmo, oltre a quello che abbiamo pregato, il numero 131 che dice: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore, non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze… La mia anima è come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”. È questa l’infanzia spirituale di cui ha parlato una grande santa, Teresa di Lisieux, monaca carmelitana e dottoressa della Chiesa, che dice che l’infanzia spirituale è proprio la capacità di essere arrendevoli davanti a Dio, cioè di lasciarsi conquistare da Dio, di lasciarsi abitare da Dio, di essere tutti del Signore e per questo capaci di un servizio, di un amore che è in grado di costruire l’unione delle parti, perché c’è il senso del tutto che è superiore alle parti. Questa è l’infanzia spirituale. Allora per diventare grandi bisogna saper rimanere bambini nel senso che abbiamo appena detto, come dice per esempio un grande filosofo dell’educazione amico di Ratzinger e di Balthasar, Ulrich, e anche un altro filosofo amico di Ratzinger papa Benedetto e studiato molto da Bergoglio papa Francesco, Romano Guardini, che è vissuto in Germania ma è nato a Verona. Romano Guardini scrive, tra le tante, una bellissima opera. Per introdurla mi servo del presente esempio: i ragazzi potrebbero andare a chiedere ai nonni: “Come si fa ad invecchiare bene?”. Perché delle volte ci sono dei nonni che sono arrabbiati o tristi, o dei lupi solitari, o dei nonni che quando iniziano a parlare non li fermi più, che non si sa se andarli a trovare perché li vai a trovare al mattino alle 9 e torni a casa alle 9 di sera ma hanno parlato soltanto loro, ma non a Guiglia. “Nonno, come si fa ad essere anziani felici?”. Certo, avendo intorno dei nipotini. Ma si diventa bene anziani quando si è capaci di tornare bambini. Tra nonni e nipoti ci sono molte più cose in comune di quelle che noi non immaginiamo. Quando si diventa anziani, infatti, quando non si possono più utilizzare gli strumenti di lavoro perché non si ha più la forza, o si utilizza il bastoncino perché si fa fatica a stare in piedi, oppure quando c’è bisogno di qualcuno che ti aiuti per fare le faccende di casa, la lavatrice, la lavastoviglie – perché non so quanti di voi, bambini, sapete fare la lavatrice… C’è bisogno da anziani e da bambini dell’aiuto degli altri. Per sapere invecchiare bene, allora, bisogna sapere tornare bambini, oppure per diventare veramente grandi abbiamo bisogno di rimanere bambini, cioè rispondere bene a questa serie di domande che vi faccio. Secondo voi, carissimi, nella storia del mondo vince il male o il bene? È una domanda facile, direte voi, nella storia del mondo anche se sembra che vinca il male alla fine è il bene che trionfa. Ma se io vi dicessi nella vita di ogni giorno, secondo voi vince un po’ il bene o vince un po’ il male? Questa è una domanda trabocchetto, perché se noi rispondiamo che vince un po’ il bene e un po’ il male è come che noi pensassimo di essere convinti che non è pensabile essere delle persone che riescono a far prevalere la giustizia nella vita perché, quando si diventa grandi, bisogna scendere a dei compromessi… perché non si può andare bene a tutti, e poi dopo le cose alle volte si possono fare un po’ in un modo e un po’ in un altro e la perfezione non c’è … e bisogna scendere a dei compromessi. Quando noi abbracciamo questo modo di pensare abbiamo smesso di essere bambini, abbiamo smesso di fare della giustizia il parametro della nostra esistenza quotidiana, cioè del fatto che non c’è possibilità di scendere a compromessi con il male, non c’è possibilità di fare un bel mix tra il diavolo e l’acqua santa e metterli d’accordo. Questa è l’infanzia spirituale, ce n’è tanto bisogno oggi per sapere essere dei bambini che crescono bene, degli adulti che sanno essere responsabili e degli anziani che vivono i loro anni nella stagione dell’autunno, dove ci sono i colori più belli che non ci sono nelle altre stagioni, con la capacità di trasmettere l’amore vero. Chiediamo al Signore di poter essere capaci di vivere così.

Omelia nella 25esima domenica del tempo ordinario anno B