Intervista di Roberto Cutaia a Fernando Bellelli,

curatore del numero monografico Tommaso e Rosmini: il sapere dell’uomo e di Dio fra due epoche, prefazione di Piero Coda, «Divus Thomas» 1 (2011), pp. 410,

apparsa su «L’Osservatore Romano», Sabato 23 luglio 2011 p. 4

A colloquio con il curatore dell’ultimo numero della rivista «Divus Thomas» dedicato a un confronto tra il Doctor Angelicus e Antonio Rosmini

Quanto darei per parlare cinque minuti con san Tommaso

di Roberto Cutaia

«Oh quanto darei, se potessi parlare cinque minuti con san Tommaso d’Aquino! Sono sicuro che c’intenderemmo l’un l’altro perfettamente d’accordo», sono le parole del beato Antonio Rosmini, raccolte da don Fortunato Signini, segretario per nove mesi tra il 1836-1837 del roveretano, mentre camminavano per una via a Torino.

Quel desiderio di Rosmini in un certo qual modo è oggi possibile scorgerlo nelle pagine dell’ultimo numero della rivista quadrimestrale «Divus Thomas» (Bologna, Edizioni Studio Domenicano) intitolato Tommaso e Rosmini: il sapere dell’uomo e di Dio fra due epoche. L’edizione è stata curata da don Fernando Bellelli.

Con questo numero della rivista sembra essere stata segnata una parola decisiva riguardo il confronto, talvolta aspro in passato, tra la scuola neo-tomista e i rosminiani.

«La scuola neo-tomista – ci dice Bellelli – rappresenta un’ermeneutica del pensiero di san Tommaso di massimo rispetto e di grande, autorevole e ricchissima tradizione, non solo magisteriale. E non si può certo pretendere che senta totalmente propria l’ermeneutica che il beato Rosmini ha fatto di san Tommaso. D’altro canto, per quanto riguarda i rosminiani è utile precisare che essi non hanno mai inteso e non intendono fondare una scuola di pensiero. Per tutta questa serie di motivi direi che, a proposito di quest’ultimo numero di “Divus Thomas”, è più confacente parlare di un punto di non ritorno sulla consapevolezza che l’ermeneutica del pensiero dell’Aquinate compiuta dal beato Rosmini è non solo corretta, bensì imprescindibile e da valorizzare nell’ambito della ricerca scientifica».

Come si è giunti alla realizzazione di questo numero di «Divus Thomas»?

L’input decisivo e la garanzia della fattibilità dell’opera va assegnato al direttore della Rivista, il domenicano Marco Salvioli, docente di filosofia presso lo Studio Filosofico Domenicano di Bologna. Ci si è arrivati nel settembre del 2003, dopo aver ricevuto molti altri segnali positivi: anzitutto la disponibilità fattiva manifestata dal Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, in particolare nella persona del direttore, padre Umberto Muratore; l’aiuto di Pier Angelo Sequeri; l’interesse al lavoro – nella persona di Markus Krienke, direttore della cattedra «Antonio Rosmini» presso la Facoltà Teologica di Lugano – da parte del team della «quarta fase» degli studi rosminiani, che fa riferimento al Rosmini Institute.

Scorrendo l’indice del volume, suddiviso in tre parti, si possono cogliere le tracce di un programma filosofico e teologico per i prossimi decenni. Sulla scia di Agostino e Tommaso attraverso Rosmini?

La questione antropologica è senz’altro al centro della ricerca teologica e filosofica attuale. Nell’affrontarla si rischia da un lato di compromettere il patrimonio metafisico-speculativo della riflessione propria del cristianesimo in occidente, dall’altro di non prendere adeguatamente sul serio le istanze della modernità. Sono personalmente convinto che l’identità in costruzione della post-modernità dipenderà in larga misura dalla capacità della teologia di dare un contributo equilibrato a evitare questi due rischi. Quest’apporto non può che venire dalla valorizzazione della elaborazione con cui il beato Rosmini, segnatamente nella Teosofia, ha saputo mettere in dialogo Agostino e Tommaso con le esigenze della modernità e oltre la modernità stessa.

Quale potrebbe essere oggi la grande lezione del roveretano nel confronto con Tommaso?

Il roveretano si è accostato a Tommaso con l’umiltà che è propria solo dei grandi geni che sono anche santi. Sono convinto che questo sia il nucleo essenziale della lezione di Rosmini, che ha elaborato un sistema filosofico-teologico aperto e innovativo chiedendosi a ogni passo se l’espressione del suo pensiero, dando vita a percorsi nuovi rispetto a quelli precedenti, fosse non solo fedele alle grandi intuizioni di san Tommaso e dei Dottori della Chiesa, ma anche utile alla Chiesa e alla cultura. Come per tutti i grandi geni, i loro sistemi di pensiero sono unici e non interscambiabili, e tuttavia il loro confronto non li rende alternativi o in antagonismo, quanto piuttosto complementari. In questo siamo solo agli inizi della valorizzazione del pensiero del beato Rosmini.

Nel 1829 Pio VIII suggeriva a Rosmini che «per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione ». E Benedetto XVI nella Caritas in veritate scrive: «la ragione trova ispirazione e orientamento nella rivelazione cristiana».

Il n. 53 è senza dubbio uno dei passaggi più belli dell’enciclica Caritas in veritate. In esso troviamo una sorprendente affinità tra l’approfondimento dell’impostazione teologica del concilio Vaticano II e il pensiero del beato Rosmini: ripensare la metafisica in termini relazionali a partire dallo specifico contributo della rivelazione come categoria biblico-teologica è proprio ciò che ha tentato di compiere il roveretano, anticipando la riflessione sulla religione a partire da un approccio antropo-cristocentrico. Per questo direi che potremmo senz’altro dire Chiesa «maestra ragionevole» perché «sposa di Cristo» e per questo «madre persuasiva in quanto amorevole», di quella forza della verità che è l’amore.