Il Vangelo di quest’oggi ci pone davanti la figura dell’apostolo ed evangelista Matteo, che alla chiamata perentoria e decisa di Gesù decide prontamente, quasi istantaneamente, di andare dietro a Lui, il Maestro, l’unico sommo bene. Anche Dante Alighieri parla, nel XII canto del Paradiso, nella sua Divina Commedia, di un altro grande santo che è andato dietro al Signore: Domenico.

E dice: “Domenico fu detto, ed io ne parlo / sì come de l’agricola che Christo / elesse a l’orto suo per aiutarlo”. Due parole soltanto: agricola significa agricoltore; orto non è l’orticello di casa, ma sono i campi da coltivare perché diano il frutto della terra, quel frutto che diventerà il Corpo e il Sangue di Cristo, che lo diventa ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. Anche io sono un agricoltore, un figlio di agricoltori e non cambio mestiere, resto agricoltore di una vigna che è la Chiesa, di una vigna che siete tutti voi, i battezzati di Soliera e di tutto il mondo.

Al capitolo XXXIII del suo bellissimo romanzo, “I Promessi Sposi”, Alessandro Manzoni, descrive lo stato in cui si trova la vigna di Renzo: una vigna abbandonata, incolta, distrutta, in cui non c’era più la possibilità di riconoscere i vitigni dalle erbacce e la possibilità che le piante fossero curate e che da esse si potesse prendere il frutto. La Chiesa è questo, la Chiesa è la vigna di Cristo, è il popolo di Dio che cammina nella storia, e attraversa sempre momenti alterni: momenti di difficoltà, momenti di gioia, come nella gioia siamo quest’oggi, e deve rimanere un momento di gioia, e momenti in cui ci può essere il disorientamento, lo smarrimento. Questa Chiesa io voglio servire, questa Chiesa che siete voi, per cui se noi, come il profeta Osea ci dice nella prima lettura, siamo certi della sua venuta, allora proprio quello è il momento in cui non abbiamo compreso chi è il Signore, perché lo trattiamo come una cosa, come un’entità finita, come qualcosa che sta sotto di noi e non sopra di noi. Il Signore è una Persona che sorprende, sorprende perché chiama a sé proprio quelli che noi crederemmo essere i più lontani da Dio. Proprio loro, i pubblicani ed i peccatori, il Signore è venuto a chiamare e a salvare. Ne è bastato uno perché, proprio di pubblicani e peccatori, si riempisse la casa dove Gesù si trovava, a scandalizzare tutti i benpensanti, per manifestare come Dio Padre è una Persona che ci spiazza e in Cristo suo Figlio sceglie ciò che noi riteniamo stoltezza e follia, per farne il luogo massimo della sua presenza in mezzo a noi. E quali possono essere i sacrifici che il Signore non vuole e che oggi continuiamo a credere di dovergli dare, mentre in realtà Lui ci chiede la nostra attenzione, per poterci riversare la Sua misericordia ? Non sono certamente più i sacrifici che il popolo d’Israele offriva ed offre: capri, montoni, colombe … Può essere il sacrificio di un servizio fatto con disinteresse e gratuità; può essere il sacrificio di un’idea che io credo essere la migliore e la sola vincente: non so, può essere il modo in cui credo di dover far catechismo, oppure il modo in cui penso di dover attuare nella società le istanze e gli insegnamenti della Chiesa. Possono essere questi i sacrifici che il Signore non vuole: il Signore non vuole che gli offriamo queste cose, senza essere, casomai, lontani dalla tentazione di cercare un nostro tornaconto: non vuole questo, vuole che noi ritorniamo a Lui con tutto il cuore. Dietro a me, lo vedete, c’è il nostro Santo Patrono, S. Giovanni Battista con il dito alzato, che indica il cielo da cui viene a noi il Signore, quel Signore che ad un certo punto sulle labbra del profeta Isaia, al capitolo XLII, dice: “Per molto tempo ho taciuto, ho fatto silenzio, mi sono contenuto; ora griderò come una partoriente, mi affannerò e sbufferò insieme”. E’ un Signore, oggi, che con la sua pioggia di primavera, vuole darci la sua benedizione. Ma questa pioggia è anche il pianto di Dio su Soliera, il pianto di Dio per un popolo che fatica a tornare a Lui, che ha la dura cervice come il popolo d’Israele, perché mette, a volte, prima le idee delle persone, la comunione dopo il perdono, mette una strada sui propri passi che sembra essere quella che il Signore non vuole. E’ un Signore che dice: “Seguimi”, è un Signore che dice: “Tornate a me con il cuore perché non voglio sacrifici, voglio la misericordia, voglio l’amore”. Quell’Amore che il Signore ci dona nel suo Corpo e nel suo Sangue.

Questi sono i pilastri: l’Eucarestia, la Parola di Dio, la riconciliazione, l’adorazione davanti a Lui, sono i pilastri di una comunità che crede, spera, lotta e soffre per il bene dell’uomo, per il bene della nostra Soliera. Non possiamo partire da altre cose. Il perdono effettivamente dato e ricevuto è la legge della comunione, non gli interessi di parte. Ci aiuti davvero il Signore ad essere umili, a cercare la sua Parola, la sua volontà, a lasciarci coinvolgere dalla sua eterna novità.

Ci aiuti il Signore ad essere sua Chiesa, suo popolo. Questa è la mia preghiera e vorrei che fosse anche la vostra, in questa Eucarestia in cui proprio l’intenzione è per la nostra Parrocchia, perché torniamo a Lui con tutto il cuore a fare esperienza della sua misericordia. E mi piace invocare il Signore rievocando quello che mio nonno Noè diceva al mio papà ed ai miei zii, quando era ora di andare nei campi. Instancabile, un vero lavoratore, ed io vorrei essere come lui. E lui diceva, ve lo dico in dialetto: “Dei’ mo ragaz, dei’ mo ch’andam”.

E ora anch’io ripeto a voi: “Dei’ mo ragaz, dei’ mo ch’andam a fer al lavor d’ander a dre a Gesù Cristo”. Vieni, Signore Gesù.

Don Fernando